Terrananda

La natura è maestra

Category: articolo Page 1 of 3

Erich Fromm e l’arte di amare

In questo tempo assurdo e irriconoscibile, in questo altrove dove tutto sembra inneggiare alla separazione e all’esclusione quanto c’è di ancora attuale in questo saggio? Possiamo ricavarne opalescenti barlumi di comprensione di questo presente incerto? Sarà possibile essere un po’ meno destabilizzati da questo magma ancora troppo caldo per essere riconosciuto? A voi l’ardua sentenza.

Erich Fromm, The Art of Loving, 1956 traduzione italiana, Mondadori edizioni, Milano, 1986, pag. 91-94, 134-135:

Se l’amore è una capacità dal carattere maturo e produttivo, ne segue che la capacità d’amare in una vita individuale, in qualunque civiltà, dipende dall’influenza che questa civiltà ha sul carattere della persona media.

Parlando dell’amore nella civiltà occidentale moderna, ci domandiamo se la struttura sociale della civiltà occidentale e ciò che ne deriva siano propizi allo sviluppo dell’amore.

La risposta è negativa.

Nessun osservatore obiettivo della nostra vita occidentale può dubitare che l’amore in tutte le sue forme sia un fenomeno relativamente raro e che il suo posto sia stato preso da tante forme di pseudo amore, che in realtà sono altrettante forme della disintegrazione dell’amore.

La società capitalistica si basa sul principio della libertà politica da una parte, e sulla dinamica del mercato come regolatore di tutte le relazioni economico-sociali dall’altra.

Il mercato determina le condizioni alle quali le merci vengono scambiate, il mercato del lavoro regola l’acquisto e la vendita del lavoro. Sia lo scambio utile che l’energia e la capacità umana vengono trasformati in merci scambiate alle condizioni di mercato senza ricorrere alla forza e alla frode.

Le scarpe, per quanto utili possano essere non hanno valore economico, (valore di scambio) se non c’è richiesta di esse sul mercato; l’energia e la capacità umana sono prive di valore di scambio se non c’è richiesta nelle condizioni di mercato del momento.

Il capitalista può comprare il lavoro per un proficuo investimento di capitale. Il lavoratore deve venderlo ai capitalisti alle condizioni di mercato del momento, a meno che non voglia morire di fame.

Questa struttura economica si riflette in una gerarchia di valori.

Il capitale comanda al lavoro; oggetti, cose inanimate sono di valore economico superiore al lavoro, al potere umano.

Questa è stata la struttura fondamentale del capitalismo, fin dal suo inizio. Ma mentre è ancora una caratteristica del capitalismo moderno, sono cambiati molti fattori che sono le caratteristiche del capitalismo contemporaneo e che hanno una profonda influenza sul carattere dell’uomo moderno.

Come risultato dello sviluppo del capitalismo, noi riscontriamo un processo sempre crescente di centralizzazione e di concentrazione del capitale. Le grandi imprese crescono continuamente, le piccole vengono schiacciate.

(…)

Il capitalismo moderno necessita di uomini che cooperino in vasto numero; che vogliano consumare sempre di più; i cui gusti siano standardizzati e possano essere facilmente previsti e influenzati.

Necessita di uomini che si sentano liberi e indipendenti, che non si assoggettino a nessuna autorità e che tuttavia siano desiderosi di essere comandati, di fare ciò che si aspetta da loro, di adattarsi alla moderna macchina priva di frizione, che possano essere guidati senza la forza, guidati senza capi, incitati senza uno scopo, tranne quello di rendere, di essere sulla breccia, di funzionare, di andare avanti.

Quale è il risultato?

L’uomo moderno è staccato da se stesso, dai suoi simili, dalla natura.

E’ stato trasformato in un oggetto, sente le sue forze vitali come un investimento che gli deve dare il massimo profitto ottenibile alle condizioni di mercato del momento. Le relazioni umane sono essenzialmente quelle degli automi, ognuno dei quali basa la propria sicurezza sentendosi vicino al gregge e non divergendo nel pensiero, nei sentimenti e nell’azione.

Mentre ognuno prova a essere il più vicino possibile agli altri, ognuno rimane disperatamente solo, pervaso da un profondo senso d’insicurezza, ansia e colpa, che sempre si verificano quando la separazione umana non può essere vinta.

La nostra società offre molti palliativi che aiutano la gente a essere coscientemente inconscia di questa solitudine: primo fra tutti la stretta routine del lavoro meccanico, burocratico, che aiuta la gente a restare inconscia dei più fondamentali desideri umani, del desiderio di trascendenza e unità.

Finchè la routine da sola non ci riesce, l’uomo supera la propria inconsapevole disperazione mediante la routine dei divertimenti, della consumazione passiva dei suoni e delle immagini offerte dall’industria del divertimento, oltre a ciò dalla soddisfazione di comprare sempre nuove cose, per subito scambiarle con altre.

(…)

La situazione per quanto riguarda l’amore, corrisponde al carattere sociale dell’uomo moderno. Gli automi non possono amare, possono scambiarsi i loro fardelli di personalità e sperare in uno scambio leale.

(…)

La gente capace d’amare, nel sistema attuale è l’eccezione.

L’amore è per necessità un fenomeno marginale nella società occidentale moderna. Non tanto perché molte occupazioni non permettono un’attitudine ad amare, ma perché il carattere della società basata sulla produzione è tale che solo l’anticonformista può difendersi con efficacia contro di essa.

Coloro che credono veramente all’amore come all’unica soluzione razionale al problema dell’esistenza umana devono, allora, arrivare alla conclusione che certi cambiamenti importanti e radicali nella nostra struttura sociale sono necessari, se l’amore deve diventare un fenomeno sociale e non marginale e individuale.

La nostra società è regolata da una burocrazia direzionale, da politici di professione; la gente è spinta da suggerimenti di massa, il suo scopo è produrre di più e consumare di più come fine a se stesso.

Tutte le attività sono subordinate a scopi economici, i mezzi sono diventati i fini; l’uomo è un automa, ben nutrito, ben vestito, ma senza un vero interesse per quella che è la sua particolare qualità e funzione umana. Se l’uomo è capace di amare deve essere messo nel suo posto supremo.

La macchina economica deve servirgli anziché lui servire ad essa.

(…)

Qualunque società che escluda lo sviluppo dell’amore deve, a lungo andare, perire per le proprie contraddizioni con le fondamentali necessità della natura umana.

(…)

Aver fede nelle possibilità dell’amore come fenomeno sociale, oltre che individuale, è fede razionale che si fonda sull’essenza intima dell’uomo.

Oltre il biologico: intervista all’azienda agricola Primo Solco

Quello che mettiamo nel piatto ogni giorno può raccontare storie avventurose o a volte, tutt’altro: pensiamo a un’insalata cresciuta da seme OGM in agricoltura intensiva su un terreno impoverito, irrorato di pesticidi e poi lavata con cloro, messa in un sacchetto e stipata sugli scaffali di un supermercato. Proviamo invece, a ascoltare la storia di una pianta nata da un seme antico, cresciuta in un campo vicino a ortaggi diversi, nutrita con compost in un terreno ricco di humus e poi raccolta e mangiata poco dopo.

Si tratta di due storie molto diverse che si traducono in sapori e capacità nutritive e salutistiche molto differenti.

Secondo il rapporto “Bio in cifre 2020” del Sistema di Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica, la diffusione dell’agricoltura biologica in Italia è in costante crescita, sia dal punto di vista dei consumi, sia da quello dei terreni agricoli destinati a coltivazioni biologiche. Siamo il paese europeo dove l’incidenza delle coltivazioni biologiche sul totale delle coltivazioni agricole è più forte.

Cresce sempre di più il desiderio di nutrirsi con prodotti che siano vicini alla leggi di natura.

Terrananda presenta oggi due giovani imprenditori agricoli che hanno scelto di coltivare in modo sano e sostenibile.

Michel Marcomini e Alessandro Rizzo hanno fondato l’azienda Primo Solco, iniziando così la loro bellissima esperienza con l’agricoltura biodinamica e realizzando il sogno di un lavoro che rispetta l’ambiente.

L’agricoltura biodinamica nasce dagli studi dell’antroposofo Rudolf Steiner e si basa sul principio del rispetto e della sinergia tra uomo-piante-cosmo-animali, con l’obiettivo di diffondere prodotti sani e vitali.

In questo caso il consiglio è quello di provare per credere, non servono solo parole bensì l’esperienza di assaggiare questi prodotti per testarne la differenza in termini di gusto, appagamento e salute.

Michel Marcomini e Alessandro Rizzo, i fondatori di Primo Solco, ci raccontano qualcosa di più.

Come nasce Primo Solco?

L’idea ha radici lontante, nasce dalla voglia di due amici di creare qualcosa insieme, ma è un sogno rimasto nel cassetto per tanti anni. Poi nel 2018 abbiamo preso in gestione un vecchio campo abbandonato, vicino Crespina, e abbiamo iniziato a sperimentare, prima con i fagioli, coltivando la piattella pisana, e poi ampliando la coltivazione agli ortaggi.

Abbiamo avuto la fortuna di conoscere l’Associazione Agricoltura Vivente e alcuni agricoltori biodinamici, oggi cari amici, che ci hanno avvicinato al mondo della biodinamica, dandoci consigli e indicazioni. Da lì ci siamo appassionati e adesso eccoci qua.

Cosa offre in più l’agricoltura biodinamica rispetto alla tradizionale?

Sicuramente l’agricoltura biodinamica si basa su un forte rispetto per l’ambiente, preservando la biodiversità e impattando il meno possibile sui cicli naturali: si lavora affinché nel sottosuolo si creino più organismi e microrganismi a favore della vitalità del terreno.

Questo avviene con metodi di lavorazione diversi dai tradizionali, per fare un esempio al posto dell’aratro usiamo il ripper, per non impattare sul terreno, e far si che gli organismi presenti nel sottosuolo vengano danneggiati il meno possibile. Inoltre grazie alla rippatura non rovesciamo il terreno e non dissestiamo la  sua conformazione naturale, migliorandone di anno in anno la struttura.

Inizialmente eravamo scettici riguardo l’agricoltura biodinamica, ma visitando diverse aziende ci siamo resi conto di quanto effettivamente il terreno e le colture siano differenti. La terra stessa ha un colore diverso, più scuro.. è una terra viva. È difficile da spiegare a parole.

Certamente è un lavoro lungo, ci vuole tempo affinché una pianta arrivi a trovare autonomamente nel terreno tutto ciò di cui ha bisogno per vivere… ci vorranno anni, ma è quello a cui puntiamo.

Cosa coltivate e come scegliete le colture?

Coltiviamo prevalentemente ortaggi stagionali, in sostanza tutto: leguminose, curcubitacee, solinacee, crucifere…Da una parte cerchiamo di seguire l’andamento del mercato e e rispondere alla domanda, dall’altra ci stiamo impegnando a recuperare varietà che stanno andando perse, antiche e autoctone…

Avete ricevuto sostegno per portare avanti i vostri orti?

Molto! Fin da subito genitori, parenti e amici ci hanno sostenuto e aiutato a crescere. Capita che vengano a darci una mano a realizzare le strutture necessarie al sostegno delle colture, oppure che ci aiutino con quei lavori che richiedono più manodopera, per esempio durante la raccolta delle patate. Sicuramente una grande mano ce la danno anche nel farci pubblicità.

Quali sono le maggiori difficoltà?

Abbiamo iniziato questa attività quasi da profani, senza avere alle spalle una formazione agricola. La difficoltà sta quindi nell’affinare le tecniche, attraverso tentativi sul campo, per esempio la preparazione del terreno, capire di cosa ha bisogno o meno una pianta rispetto ad un’altra, facendo piccole prove ogni stagione, ogni trapianto ecc… stiamo migliorando di anno in anno. L’osservazione delle piante e la tempestività nell’intervenire in caso di bisogno sono fondamentali in questo lavoro.

State già incontrando il favore dei consumatori?

Fortunatamente si, i nostri clienti sono molto contenti, ed è una cosa che appaga tantissimo. Una delle motivazioni principali che ti spinge ogni giorno a fare meglio è proprio il cliente contento, che torna e che ti fa pubblicità a sua volta.

Quali sono i vostri progetti futuri?

Ci piacerebbe con il tempo riuscire a creare una piccola realtà autosufficiente, un luogo in cui casa e lavoro si intreccino, vivendo secondo i ritmi della natura e seguendo le nostre passioni.

Ci piacerebbe, inoltre, creare  attività didattiche di agricoltura sociale per bambini e adulti.

Che consigli dareste ai ragazzi che vogliono intraprendere la vostra strada?

Sicuramente non scoraggiarsi davanti alle prime difficoltà, rimboccarsi le maniche ogni volta e lavorare per quello in cui si crede. Se si ha un sogno, vale la pena provarci!

Il nostro consiglio è quello di metterci tanto del proprio, senza dimenticarsi dei consigli dei più anziani, sicuramente più esperti!

Credete che chi compra frutta e verdura sappia sempre scegliere gli alimenti più salutari o sia attratto solo dal prezzo più conveniente?

Non sempre è facile districarsi tra le tante offerte. Tante volte la scelta dipende dalle proprie possibilità economiche, ma negli ultimi anni l’attenzione del consumatore sta cambiando: c’è più interesse verso il prodotto biologico e biodinamico. Forse manca ancora consapevolezza del rapporto tra costi di produzione, prezzo di vendita e genuinità dei prodotti. In ogni caso sempre più persone ricercano prodotti di qualità e questa non può che essere una buona notizia!

Abbiamo capito che scegliere questi prodotti significa mangiare sano e nello stesso tempo agire concretamente per salvaguardare l’ambiente in cui viviamo. Come si fa per gustare le vostre verdure?

Ogni settimana consegnamo verdura fresca a chi lo richiede. Basta chiamare il numero 3791502819.

Tendenze

Campagne intorno a Guzzano

Un giorno Nadia ha avuto un incidente dal quale è fortunatamente uscita illesa, la sua auto, invece, era ormai distrutta ma da allora Nadia ha preso la decisione di non comprare un’altra auto.

Il suo compagno l’ha appoggiata e insieme hanno scelto di vivere senza mettere in circolazione una nuova auto con tutte le esigenze dei loro due bambini e pur abitando in un piccolo paese di provincia.

Collodi: a pochi passi dal borgo di Guzzano

Sicuramente si tratta di una scelta non facile che porta con sé tante rinunce. Una scelta da valutare attentamente e che evidenzia la carenza cronica di mezzi pubblici nei piccoli centri. Il problema non riguarda solo la provincia: nelle città, la carenza si evidenzia in certe fasce orarie, per esempio le ore serali e notturne.

Paradossalmente i cittadini non vengono affatto incoraggiati a lasciare l’auto nonostante le città e le strade siano piene di traffico e di ingorghi.

Treni e bus sono terribilmente insicuri.

Sui treni, per esempio, le cronache ci riportano spesso notizie di furti o violenze mentre nessuno si stupisce più che sugli autobus ci siano cartelli che invitano a stare attenti ai ladri.

Insomma, se da una parte la nostra crisi ecologica richiederebbe che l’uso dell’auto venisse diminuito, dall’altra i cittadini, per tante ragioni, non vengono affatto invogliati a farlo e la scelta di Nadia è decisamente faticosa.

In Italia, le famiglie che hanno scelto di vivere senza l’auto sono stimate intorno al 15% del totale e organizzano raduni annuali aggiornandosi attraverso una pagina Facebook dedicata. Questo dimostra che vivere senza l’auto non è impossibile nonostante le mille difficoltà. Esistono anche città dichiarate car free: per ora poche, ma molto motivate.

Ecco come Nadia ha motivato la sua decisione:

Salve Nadia, come sei riuscita a organizzarti nella vita di tutti i giorni senza più possedere l’automobile?

Salve, intanto vorrei fare una precisazione: nel nostro caso, vivere senza macchina non vuol dire non usarla. Significa usarla meno e con più attenzione.

Guzzano: la Via degli Gnomi

Cosa intendi?

Intendo che nel luogo dove abitiamo noi i mezzi pubblici sono ridotti all’osso (3 corse di bus in un’intera giornata) per questo sono costretta a chiedere l’auto a mia madre.

Quando ho l’auto di mia madre cerco di mettere insieme più commissioni possibile cercando di minimizzare gli sprechi, per esempio facendo la spesa ogni 10 gg e non di più. Mi piace fare il pane regolarmente in casa, non tanto perché non ho la macchina per andare a comprarlo ogni giorno, ma perché è più sano…Lo farei comunque, come l’orto. Abbiamo la fortuna di avere un po’ di terra e abbiamo iniziato a coltivare un orto, prendercene cura è sempre stato un nostro desiderio. Ne ricaviamo un po’ di verdura fresca ma siamo solo agli inizi.

Abitando in campagna c’è il vantaggio di poter contare su tante erbe spontanee e diversi alberi da frutto, che in tanti casi sono ormai abbandonati e offrono frutta a volontà durante tutta la bella stagione. Mio figlio si è divertito tutta l’estate a fare marmellate con la nonna.

Alture intorno a Guzzano

Chiedi l’auto a tua madre e quando non la hai come ti organizzi?

Per tutto quello che è vicino casa cerco di raggiungerlo a piedi dal momento che sono una buona camminatrice, per il resto, prendo l’autobus o il treno anche se sono mezzi costosi soprattutto se vogliamo spostarci con tutta la famiglia.

Le gite al mare d’estate diventano un po’ un piccolo evento!

La bicicletta ci è molto utile in tante occasioni e poi esistono i passaggi casuali ovvero la possibilità di usufruire della gentilezza di amici e conoscenti che stanno andando proprio dove devo andare io: un modo di relazionarsi inquinando di meno.

Nadia e Sergio: panorama di Villa Basilica

Credo sia difficile per voi fare progetti a lungo termine

Mi affido all’idea che in qualche modo troverò la soluzione giusta: un’auto prestata, un mezzo pubblico, una bici, un passaggio casuale. Con un po’ di fiducia e di pazienza, per la mia esperienza, arriva sempre ciò che ci serve in quel momento.

Certo ho bisogno di organizzarmi in anticipo ma in generale tutto questo mi fa sentire molto più libera e poi ci sono meno costi nel complesso.

Sicuramente non puoi fare tutto quello che facevi prima

Abbiamo imparato a valutare con più attenzione dove andare e come investire il nostro tempo. In altre parole, siamo diventati molto più selettivi.

Cosa ti sta insegnando questa esperienza?

Mi sta insegnando a apprezzare meglio le cose semplici che ci sono intorno a me e questo ritmo più lento dell’andare a piedi mi fa comprendere che c’è un’ enorme abbondanza intorno a noi che spesso ignoriamo e dovremmo imparare a valorizzare.

Pensando a fenomeni come carsharing, carpooling o BlaBlaCar credi che questa tendenza si diffonderà sempre di più?

Mi piacerebbe tanto che una maggiore sensibilità ambientale si diffondesse sempre di più tra le persone, sia perché così l’ambiente ne gioverebbe sia perché ne gioverebbero le relazioni umane e ormai si sa, le due cose vanno di pari passo.

Tu e la tua famiglia avete progetti per il futuro?

Si, ne abbiamo più di uno.

C’è il desiderio di creare un ecovillaggio proprio qui a Guzzano. Coltiviamo il sogno di più famiglie che vivano vicine e si aiutino reciprocamente nei più svariati modi. A Guzzano, vicino Collodi, il paese di Pinocchio, ci sono numerose case in vendita. Altre ormai disabitate e qualcuna ormai messa all’asta. I prezzi della zona sono molto più bassi di quelli in pianura. Si tratta di abitazioni rustiche dislocate tra castagni, noccioli e oliveti. Molti terreni, ormai abbandonati, potrebbero essere, invece, presi in comodato d’uso.

Ulivi a Guzzano

Poi, nell’ultimo periodo, sull’onda dell’imperante diffusione del virtuale causata dal distanziamento sociale legato al Covid ho ideato con mio marito Sergio un progetto che consiste nell’inviare per posta tradizionale fiabe, racconti, pensieri. Viva la lentezza! Siamo in controtendenza e ci sembra che ci sia il rischio di stare diventando tutti un po’ troppo distanti e virtuali ormai.

Ci piace l’idea che questi messaggi possano essere regalati alle persone o richiesti per se stessi da chi crede di apprezzarli.

Questi messaggi hanno una caratteristica particolare? Come si fa per riceverli?

Certo! Sono tutti corredati da un bottone diverso, (in fondo è un modo di attaccare bottone, no?)

Se volete un messaggio con bottone per voi o volete regalarlo a qualcuno contattatemi al 0572 43511.

Nadia al Pozzo delle Fiabe

Per chi desidera conoscerti meglio consiglio la lettura di Takket Vaere Melk, una storia visionaria e surreale, un libro digitale che hai pubblicato anni fa. A proposito, che lavoro fai?

Mi definisco un’artista itinerante, offro fiabe e pensieri camminando per la città di Lucca in cambio di ciò che ciascuno vorrà offrire liberamente.

Nadia Bernazzi alla Versiliana a Natale 2018

Nadia Mary Poppins a Lucca

Ecologia Integrale

Prendersi cura dell’ambiente significa ampliare il nostro modo di vedere la vita e la rete di relazioni in cui si manifesta.

Il maestro vietnamita Tich Nhat Hanh ha coniato il concetto di Interessere per sottolineare che non siamo separati gli uni dagli altri, ma che la nostra più profonda essenza è la connessione con tutto ciò che esiste.

Tra i tanti autori che nel tempo e nello spazio hanno messo a fuoco questa profonda verità ci soffermiamo brevemente su Papa Francesco e sul paradigma di ecologia integrale da lui proposto.

Il concetto di ecologia integrale è il modello di vita interiore e sociale, spirituale e politico proposto da Papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’.

Con questo paradigma si intende sottolineare come tutto stia in relazione e quanto il nostro comportamento e il nostro modo di considerare la vita e il creato abbiano ripercussioni sull’ambiente naturale e sulla società.

A loro volta l’ambiente in cui viviamo e la società influiscono sul nostro modo di essere con sé stessi e con gli altri in una circolarità che si basa sulla relazione tra noi e il tutto.

Al paragrafo 147, si legge:

gli ambienti in cui viviamo influiscono sul nostro modo di vedere la vita, di sentire, di agire.

Per spiegare cosa intende per ecologia integrale, al paragrafo 225/226, Papa Francesco scrive:

la pace interiore delle persone è molto legata alla cura dell’ecologia e al bene comune, perché autenticamente vissuta, si riflette in uno stile di vita equilibrato unito a una capacità di stupore che conduce alla profondità della vita.

La natura è piena di parole d’amore, come potremo ascoltarle in mezzo al rumore costante, alla distrazione permanente e ansiosa, o al culto dell’apparire?

Molte persone sperimentano un profondo squilibrio che le spinge a fare le cose a tutta velocità per sentirsi occupate, in una fretta costante che a sua volta le porta a travolgere tutto ciò che hanno intorno a sé.

Questo incide sul modo in cui si tratta l’ambiente. (Per ecologia integrale intendiamo) un atteggiamento del cuore, che vive tutto con serena attenzione, che sa rimanere pienamente presente davanti a qualcuno senza stare a pensare a ciò che viene dopo, che si consegna ad ogni momento come dono divino da vivere con pienezza.

Più avanti, al capitolo 219, esorta:

non basta che ognuno sia migliore per risolvere una situazione tanto complessa come quella che affronta il mondo attuale, (…) ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie.

Papa Francesco, al paragrafo 211, propone comportamenti ecologici pratici che possono portare al benessere della nostra casa comune e degli altri esseri viventi del pianeta:

evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, ecc.

Tuttavia ribadisce la necessità di lavorare insieme gli uni e gli altri per agire profondamente sulla società e la politica creando movimenti, azioni comuni e iniziative culturali in grado di cambiare l’ambiente in cui viviamo. Al paragrafo 42 si ricorda:

oggi riscontriamo, per esempio, la smisurata e disordinata crescita di molte città che sono diventate invivibili dal punto di vista della salute, non solo per l’inquinamento originato dalle emissioni tossiche, ma anche per il caos urbano, i problemi di trasporto e l’inquinamento visivo e acustico. (…) Non si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento, asfalto, vetro e metalli, privati del contatto fisico con la natura.

Quanto potere ci sarebbe nell’unirsi, nel cooperare, nel tentare di trovare accordi per agire insieme nella direzione di un miglioramento globale.

Un invito a riflettere sulla possibilità che si apre nel costruire reti, comunità educanti e agenti, unite dalla consapevolezza della nostra interconnessione con tutti gli esseri e con l’ambiente.

https://www.youtube.com/watch?v=KfLJPwxDu4k

Inquinamento e felicità

Nel 2012, i ricercatori Byron Lew and B. Mak Arvin dell’Università di Ontario, in Canada, hanno studiato la relazione tra felicità e inquinamento in 14 paesi europei.

La ricerca, disponibile in inglese –Happiness and air pollution: evidence from 14 European countries, Int. J. Green Economics, Vol. 6, No. 4, pp.331–345, intende la felicità come indicatore del benessere soggettivo individuale.

Ci sono svariati modi di intendere la felicità.

Provate a chiedere a persone diverse cosa intendono per felicità e ne ricaverete descrizioni ben differenti.

In questa ricerca, gli autori hanno cercato di assumere come concetto di felicità quanto i soggetti ritengono che la propria vita sia conforme alle loro aspirazioni e aspettative utilizzando il world database of happiness.

Sono molti gli studi in ambito socio – economico che hanno dimostrato come l’aumento del benessere economico in una nazione non corrisponda all’aumento della felicità degli individui.

I fattori che contribuiscono maggiormente al benessere personale sono la qualità della sanità pubblica, le politiche a sostegno della famiglia, il livello dei servizi sociali, il lavoro e il tempo libero, il clima familiare, il buon governo, il grado di democrazia, la libertà e la condizione dell’ambiente.

Questo studio si concentra su un aspetto in particolare dello stato dell’ambiente, la qualità dell’aria.

Anche la dott.ssa Siqi Zheng del Mit ha studiato in Cina la stessa relazione presentando una interessante ricerca.

Può esserci una relazione tra la felicità individuale e la qualità dell’aria che le persone respirano ogni istante della loro vita?

Intuitivamente ognuno di noi, se dotato di buonsenso, darebbe una risposta positiva al quesito, immaginandosi che non sia possibile essere felici se si è costretti a respirare aria grigia e sporca anziché fresca, frizzante e trasparente.

Tuttavia, la nostra specie umana si è talmente allontanata dalla sintonia con l’ambiente naturale che anche una considerazione così ovvia diventa oggetto di ricerca scientifica poiché si sente l’esigenza di doverlo dimostrare.

I ricercatori hanno utilizzato i dati della World Bank nel World Development Indicators, per Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Russia, Spagna e UK relativi alle emissioni di diossido di carbonio per un periodo di tempo variabile tra venticinque e i trent’anni, fino al 2008.

Gli studiosi hanno verificato il collegamento tra aria inquinata e felicità con sofisticati calcoli e lunghe indagini, attraverso un test creato nel 1969 dal Nobel per l’economia Clive Granger, il “test della causalità di Granger”: se si respirano schifezze si è meno felici e quando non si è felici, si inquina di più, innescando un circolo vizioso.

Lo studio mostra che la qualità dell’ ambiente e in particolare dell’aria che respiriamo è fondamentale per il benessere psicologico.

Nei paesi dove l’aria è più inquinata le persone sono meno felici.

Il respiro è il mezzo per purificare dalle tossine il corpo e la mente, ossigenando tutto il nostro essere.

L’aria che respiriamo è fondamentale: senza aria non possiamo vivere.

La qualità di ciò che respiriamo è il sostegno del corpo e della mente quanto il cibo e anche di più.

Lo yoga lo insegna da sempre. Molte tradizioni millenarie come lo yoga, le varie forme di meditazione ed oggi anche la minfulness identificano il respiro profondo come mezzo per ritrovare la comunione con l’universo favorendo il benessere, la salute e la felicità.

Grazie Byron Lew e B. Mak Arvin per avercelo ricordato ancora.

Compassion in World Farming (CIWF) Italia Onlus

Con la premessa che il vero benessere animale si ottiene lasciando gli animali liberi nel loro ambiente, rispettandoli e non certo nutrendosene, questo è il suggerimento per visitare il sito di una Organizzazione unica nel suo genere: Compassion in World Farming (CIWF) Italia Onlus presente anche in molte altre nazioni del mondo.

Si tratta di una associazione no-profit che lavora per il benessere degli animali allevati per scopi alimentari ed è la più grande organizzazione specializzata in benessere animale.

Certo, utilizzare la parola benessere non è appropriato visto che si parla di animali che non sono liberi e che verranno uccisi a scopi alimentari.

Tuttavia, passare ad una alimentazione vegana o vegetariana non è possibile per tutti o almeno non lo è nell’immediato.

Questa associazione lotta per far sì che venga garantito il maggior rispetto possibile agli animali e abolire gli allevamenti intensivi così che diventino solo un incubo da dimenticare, una volta per tutte.

Il fondatore è Peter Roberts, un allevatore di vacche da latte che decise di schierarsi contro il sistema intensivo di allevamento e fondare un’organizzazione per la protezione degli animali negli allevamenti.

Un sito davvero interessante dove leggere la mission di questo movimento e soprattutto la loro guida al consumo consapevole.

L’aspetto più costruttivo e originale dell’associazione è quello di essere aperti alla mediazione e al dialogo per lavorare nella costruzione di un maggior benessere animale con coloro che “producono” cibo.

Il cambiamento, infatti, va costruito a poco a poco e a piccoli passi non trincerandosi dietro il muro delle ideologie e delle appartenenze o peggio ancora del pregiudizio contro chi mangia carne.

Rispettare davvero gli animali significherebbe non mangiarli e non interferire nella loro vita ma oggi come oggi non tutti sono pronti a diventare vegani, per ragioni di salute o per ignoranza o per altri mille motivi che in alcuni casi possono essere anche validi e da rispettare.

Per questo è nobile e soprattutto basilare impegnarsi per ottenere almeno dei miglioramenti nella vita dei poveri animali allevati.

Riporto brevemente la presentazione dal sito indicato dove si legge bene la mission di Compassion in world farming:

Per un cibo rispettoso di persone, animali e ambiente.

  • Siamo un’associazione focalizzata sul benessere animale degli animali allevati per cibo
  • Non siamo un’organizzazione vegetariana
  • Pensiamo che il benessere animale sia centrale per migliorare il nostro sistema di produzione del cibo
  • Il nostro obiettivo non è quello di promuovere i prodotti di origine animale, e quindi invitiamo i consumatori di carne, latte, formaggio, uova e pesce a scegliere prodotti di migliore qualità (ovvero di animali allevati in modo rispettoso del loro benessere) e di consumarne meno
  • Ci impegnamo in campagne contro pratiche e sistemi crudeli di allevamento
  • Ci contraddistingue un approccio pragmatico con il quale chiediamo un cambiamento nel breve periodo grazie a soluzioni percorribili da subito
  • Lavoriamo per far sì che il benessere animale sia centrale per lo sviluppo sostenibile del pianeta
  • Mettiamo in luce gli impatti devastanti dell’allevamento intensivo sul pianeta e sulla salute delle persone
  • Invitiamo i cittadini a diminuire il consumo di prodotti di origine animale e di consumare solo quei prodotti realizzati nel rispetto del benessere animale
  • Siamo dalla parte di chi fa concreti progressi per il benessere animale, come ad esempio l’industria alimentare che sceglie di cambiare le proprie filiere e promuovere alternative a carne, latte, formaggi, uova e pesce provenienti da allevamenti intensivi
  • Non siamo un ente certificatore

Consapevoli che milioni di animali in tutto il mondo stanno soffrendo per causa nostra, unirsi alla mission di questa associazione è il minimo che possiamo fare.

Technostress e Shinrin-yoku

La maggior parte delle professioni richiede al lavoratore di interfacciarsi al computer. Talvolta al computer e allo smartphone contemporaneamente imponendo una reperibilità su più app dove continuamente vengono richieste risposte, decisioni, azioni in tempi rapidi.

Chi riveste ruoli manageriali in aree altamente tecnologiche è maggiormente a rischio di technostress ma a livelli diversi lo siamo un po’ tutti.

Technostress è un termine non recente utilizzato per la prima volta nel 1984 dallo psicologo americano Craig Broad, nel suo criticatissimo libro, Technostress: the human cost of computer revolution.

Anche l’INAIL con un documento del 2017 si è occupata del problema : ICT E BENESSERE DEI LAVORATORI, di seguito, un breve passo del documento:

L’uso delle ICT può generare benefici di business, ma può anche causare reazioni negative negli individui, pertanto devono essere analizzate e gestite. Tra le conseguenze negative emerge il technostress, definito per la prima volta da Brod come una malattia moderna causata dall’incapacità di far fronte o trattare le informazioni e le nuove tecnologie di comunicazione
in modo sano. Salanova, contestualizzandolo in ambito lavorativo, lo ha definito come uno stato psicologico negativo associato all’uso delle ICT e ha evidenziato che tale esperienza può essere correlata a sentimenti di ansia, affaticamento mentale, scetticismo e inefficienza
.

L’uomo è un animale sociale e l’interfacciarsi a lungo con supporti digitali non è naturale ed è fonte di stress sia sul piano fisico che psico-emotivo.

Ancora poco indagate le conseguenze dell’utilizzo di device sugli occhi, sulla psiche e sul piano relazionale anche alla luce del funzionamento dei cosiddetti “neuroni specchio”.

Massimo Servadio spiega cosa si intende per technostress.

Ulteriore approfondimento di Elisa Albertini e Carlo Galimberti in questo intervento.

Nel definire il technostress sono state prese in considerazione solo le dimensioni più macroscopiche del fenomeno ma le conseguenze negative sulla psiche di chi per molte ore si relaziona con pc o smartphone si situano su più livelli e hanno a che vedere con le variabilità individuali così da essere, spesso, poco individuabili. Di certo ad accomunare tutti i casi di persone stressate dalla tecnologia si riportano ansia, irritabilità, diminuzione della creatività e del pensiero divergente, dolori vari, insonnia, apatia, scarso investimento emozioanale, fino ad arrivare alla depressione.

La rivoluzione digitale che stiamo attraversando si delinea in modo sempre più complesso ed evidente cambiando profondamente i modi di relazionarsi con il prossimo e con se stessi e il proprio tempo libero. Occhi fissi su un device invece che occhi negli occhi di un altro essere umano e questo non solo nel mondo del lavoro.

A mediare le relazioni lavorative o personali spesso si trova la tecnologia con i propri codici e linguaggi rigidi e meccanici, stereotipati.

Poco lo spazio lasciato alla creatività e alla differenza: la mano compie movimenti sincopati e ripetitivi sulla tastiera, lo sguardo è come ipnotizzato dall’impercettibile sfarfallio di pixel che si accendono e spengono restando fisso, la nuca rigida, il collo è “sull’attenti”.

Mentre auspichiamo cambiamenti sempre più sostenibili nel mondo del lavoro, la natura ci viene in aiuto: è dimostrato che chi si sente colpito dal technostress può trarre giovamento dal contatto con la natura, in particolare dallo stare nel bosco, o in altre parole, come spiegano i giapponesi, dal praticare shinrin-yoku.

Entrare nel bosco e permanervi per un certo tempo riequilibra i nostri sensi e affina la nostra percezione interiore riportandoci in uno stato di mindfulness.

La natura: due pensieri in corsa e una poesia

Oltre alle scienze anche l’antropologia, la filosofia e la letteratura ci hanno parlato diffusamente di lei: la natura.

Cosa intendiamo quando ne parliamo?

Come cambia il significato della parola natura a seconda della cultura d’appartenenza e del periodo storico?

L’ambiente in cui viviamo è antropizzato da secoli perciò l’idea di una natura incontaminata è sempre più lontana dalla realtà.

Il paesaggio è sempre frutto anche dell’opera dell’uomo, diretta o indiretta che sia e questo è vero oggi più che mai visti i mezzi tecnologici di cui si dispone, è perciò molto difficile distinguere dove comincia e dove finisce l’influsso umano sull’ambiente.

L’uomo non è padrone della natura e tutto ciò che avviene intorno a noi non è nel controllo dell’uomo.

Natura come realtà e come concetto aperto, come punto di partenza ma anche di arrivo, come ideale, talvolta, forse.

Quando utilizziamo questo termine è importante capire a cosa si sta riferendo chi scrive proprio perché non c’è sempre univocità nel suo utilizzo.

In che rapporto stanno le parole natura, ambiente, paesaggio? Si può rispondere e risolvere questa questione in modo definitivo?

Porre la questione significa aprire riflessioni, processi di scoperta e di ricerca.

Natura è una parola spesso accostata a un’altra, madre: “madre natura”, per porre l’accento sulla relazione che c’è tra noi umani e la natura.

Non si può contrapporre l’uomo alla natura immaginandoli su due piani distinti perché l’uno è parte dell’altra.

L’uomo è parte della natura e l’uomo è esso stesso natura poiché ne proviene e se ne sostenta e perché il suo corpo è governato da leggi antiche e misteriose.

Prima di tutto l’uomo, di Nazim Hikmet  

Non vivere su questa terra 
come un estraneo
e come un vagabondo sognatore.

Vivi in questo mondo
come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare,
ma prima di tutto credi all’uomo.

Ama le nuvole, le macchine, i libri,
ma prima di tutto ama l’uomo.
Senti la tristezza del ramo che secca,
dell’astro che si spegne,
dell’animale ferito che rantola,
ma prima di tutto senti la tristezza 
e il dolore dell’uomo.

Ti diano gioia
tutti i beni della terra:
l’ombra e la luce ti diano gioia,
le quattro stagioni ti diano gioia,
ma soprattutto, a piene mani,
ti dia gioia l’uomo!

Il clima come bene comune

Il tema dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo è al centro dell’interesse di tutti e a essere chiamato in causa è il suo irrispettoso modo di sfruttare le risorse ambientali inquinando e depauperando la casa comune.

A tal proposito sono più che pertinenti alcune tra le molte argomentazioni di Mario Josè Bergoglio sul tema del clima (tratte da Laudato sì, lettera enciclica sulla casa comune):

Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti. Esso, a livello globale, è un sistema complesso in relazione con molte condizioni essenziali per la vita umana. Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico.

Negli ultimi decenni, tale riscaldamento è stato accompagnato dal costante innalzamento del livello del mare, e inoltre è difficile non metterlo in relazione con l’aumento degli eventi metereologici estremi, a prescindere dal fatto che si possa attribuire una causa scientificamente determinabile ad ogni fenomeno particolare.

L’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano.

Vero è che ci sono altri fattori (quali il vulcanismo, le variazioni dell’orbita e dell’asse terrestre, il ciclo solare), ma numerosi studi scientifici indicano che la maggior parte del riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovuta alla grande concentrazione di gas serra (anidride carbonica, metano, ossido di azoto e altri) emessi soprattutto a causa dell’attività umana.

La loro concentrazione nell’atmosfera impedisce che il calore dei raggi solari riflessi della terra si disperda nello spazio. Ciò viene potenziato soprattutto dal modello di sviluppo basato sull’uso intensivo di combustibili fossili , che sta al centro del sistema energetico mondiale.

long exposure photography of road and cars

Ha inciso anche la pratica del cambiamento d’uso del suolo, principalmente la deforestazione per finalità agricola. A sua volta, il riscaldamento ha effetti anche sul ciclo del carbonio. Crea un circolo vizioso che aggrava ancora di più la situazione che inciderà sulla disponibilità di risorse essenziali come l’acqua potabile, l’energia e la produzione agricola delle zone più calde, e provocherà l’estinzione della biodiversità del pianeta.

Lo scioglimento dei ghiacci polari e di quelli d’alta quota minaccia la fuoriuscita ad alto rischio di gas metano, e la decomposizione della materia organica congelata potrebbe accentuare ancora di più l’emissione di anidride carbonica.

A sua volta, la perdita di foreste tropicali peggiora le cose, giacché esse aiutano a mitigare il cambiamento climatico. L’inquinamento prodotto dall’anidride carbonica aumenta l’acidità degli oceani e compromette la catena alimentare marina.

school of gray fish

Se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi.

L’innalzamento del livello del mare, ad esempio, può creare situazioni di estrema gravità se si tiene conto che un quarto della popolazione mondiale vive in riva al mare o molto vicino a esso, e la maggior parte delle megalopoli sono situate in zone costiere.

I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità.

Un po’ di plastica ogni giorno

L’organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato un rapporto sulla presenza di microplastiche nell’acqua potabile con la quale la maggior parte delle persone si disseta ignara.

Microplastic in drinking water è un allarmante rapporto dell’OMS pubblicato nello scorso mese di agosto:

Microplastics are ubiquitous in the environment and have been detected in marine water, wastewater, fresh water, food, air and drinking-water, both bottled and tap water.

Le microplastiche come è emerso in una serie di ricerche che il rapporto prende in esame, (circa 50) sono ormai diffuse ovunque, nelle acque e nell’ambiente. Fanno parte della nostra alimentazione anche attraverso i MOCA (materiali a contatto con gli alimenti).

Anche chi cerca di prendersi cura il più possibile della propria salute e di quella dei propri figli con sana alimentazione e sane abitudini di vita si ritrova poi, inevitabilmente, a ingerire quantitativi variabili di microplastiche disseminate ovunque, finanche, appunto, nell’acqua potabile.

Si legge nel rapporto che le particelle al di sopra di una certa grandezza (150 micromeri) sembrerebbero non venire assorbite dal corpo ma espulse e quelle più piccole, anche se assorbite non si sa che danni rechino a chi le ingerisce perché mancano studi, allora per adesso, possiamo stare tranquilli.

Il coordinatore dell’Oms per l’acqua ed i servizi igienico-sanitari, Bruce Gordon, afferma:

But just because we’re ingesting them doesn’t mean we have a risk to human health, the main conclusion is, I think, if you are a consumer drinking bottled water or tap water, you shouldn’t necessarily be concerned.

Insomma, stando alle parole dell’esperto scienziato: solo perché ingeriamo microplastiche, non significa che esse rappresentino un pericolo per la salute degli esseri umani. La conclusione principale è che se sei un consumatore di acqua in bottiglia o di rubinetto, non dovresti necessariamente preoccuparti.

In sostanza, mancando studi affidabili, l’OMS è cauta, sostiene che al momento non ci dobbiamo preoccupare troppo ma è meglio studiare maggiormente la questione e ridurre la diffusa produzione e dispersione di plastica nell’ambiente.

Sembra impossibile riuscire a dormire sonni tranquilli quando si sa, ormai per certo, che ogni giorni oltre ai lipidi, protidi e glucidi dobbiamo inserire anche la voce microplastiche.

We urgently need to know more about the health impact of microplastics because they are everywhere –  including in our drinking-water,” says Dr Maria Neira, Director, Department of Public Health, Environment and Social Determinants of Health, at WHO. “Based on the limited information we have, microplastics in drinking water don’t appear to pose a health risk at current levels. But we need to find out more. We also need to stop the rise in plastic pollution worldwide.

Il paradigma scientifico del nostro tempo prende in considerazione solo ciò che è dimostrato da ricerche perciò mancando studi che dimostrino in modo incontrovertibile che le microplastiche fanno male, secondo l’OMS, non dobbiamo preoccuparci.

Forse allora è il nostro paradigma scientifico a “fare acqua”.

Purtroppo, letto questo rapporto, possiamo davvero affermarlo.

Page 1 of 3