Terrananda

La natura è maestra

Month: November 2019

Technostress e Shinrin-yoku

La maggior parte delle professioni richiede al lavoratore di interfacciarsi al computer. Talvolta al computer e allo smartphone contemporaneamente imponendo una reperibilità su più app dove continuamente vengono richieste risposte, decisioni, azioni in tempi rapidi.

Chi riveste ruoli manageriali in aree altamente tecnologiche è maggiormente a rischio di technostress ma a livelli diversi lo siamo un po’ tutti.

Technostress è un termine non recente utilizzato per la prima volta nel 1984 dallo psicologo americano Craig Broad, nel suo criticatissimo libro, Technostress: the human cost of computer revolution.

Anche l’INAIL con un documento del 2017 si è occupata del problema : ICT E BENESSERE DEI LAVORATORI, di seguito, un breve passo del documento:

L’uso delle ICT può generare benefici di business, ma può anche causare reazioni negative negli individui, pertanto devono essere analizzate e gestite. Tra le conseguenze negative emerge il technostress, definito per la prima volta da Brod come una malattia moderna causata dall’incapacità di far fronte o trattare le informazioni e le nuove tecnologie di comunicazione
in modo sano. Salanova, contestualizzandolo in ambito lavorativo, lo ha definito come uno stato psicologico negativo associato all’uso delle ICT e ha evidenziato che tale esperienza può essere correlata a sentimenti di ansia, affaticamento mentale, scetticismo e inefficienza
.

L’uomo è un animale sociale e l’interfacciarsi a lungo con supporti digitali non è naturale ed è fonte di stress sia sul piano fisico che psico-emotivo.

Ancora poco indagate le conseguenze dell’utilizzo di device sugli occhi, sulla psiche e sul piano relazionale anche alla luce del funzionamento dei cosiddetti “neuroni specchio”.

Massimo Servadio spiega cosa si intende per technostress.

Ulteriore approfondimento di Elisa Albertini e Carlo Galimberti in questo intervento.

Nel definire il technostress sono state prese in considerazione solo le dimensioni più macroscopiche del fenomeno ma le conseguenze negative sulla psiche di chi per molte ore si relaziona con pc o smartphone si situano su più livelli e hanno a che vedere con le variabilità individuali così da essere, spesso, poco individuabili. Di certo ad accomunare tutti i casi di persone stressate dalla tecnologia si riportano ansia, irritabilità, diminuzione della creatività e del pensiero divergente, dolori vari, insonnia, apatia, scarso investimento emozioanale, fino ad arrivare alla depressione.

La rivoluzione digitale che stiamo attraversando si delinea in modo sempre più complesso ed evidente cambiando profondamente i modi di relazionarsi con il prossimo e con se stessi e il proprio tempo libero. Occhi fissi su un device invece che occhi negli occhi di un altro essere umano e questo non solo nel mondo del lavoro.

A mediare le relazioni lavorative o personali spesso si trova la tecnologia con i propri codici e linguaggi rigidi e meccanici, stereotipati.

Poco lo spazio lasciato alla creatività e alla differenza: la mano compie movimenti sincopati e ripetitivi sulla tastiera, lo sguardo è come ipnotizzato dall’impercettibile sfarfallio di pixel che si accendono e spengono restando fisso, la nuca rigida, il collo è “sull’attenti”.

Mentre auspichiamo cambiamenti sempre più sostenibili nel mondo del lavoro, la natura ci viene in aiuto: è dimostrato che chi si sente colpito dal technostress può trarre giovamento dal contatto con la natura, in particolare dallo stare nel bosco, o in altre parole, come spiegano i giapponesi, dal praticare shinrin-yoku.

Entrare nel bosco e permanervi per un certo tempo riequilibra i nostri sensi e affina la nostra percezione interiore riportandoci in uno stato di mindfulness.

La natura: due pensieri in corsa e una poesia

Oltre alle scienze anche l’antropologia, la filosofia e la letteratura ci hanno parlato diffusamente di lei: la natura.

Cosa intendiamo quando ne parliamo?

Come cambia il significato della parola natura a seconda della cultura d’appartenenza e del periodo storico?

L’ambiente in cui viviamo è antropizzato da secoli perciò l’idea di una natura incontaminata è sempre più lontana dalla realtà.

Il paesaggio è sempre frutto anche dell’opera dell’uomo, diretta o indiretta che sia e questo è vero oggi più che mai visti i mezzi tecnologici di cui si dispone, è perciò molto difficile distinguere dove comincia e dove finisce l’influsso umano sull’ambiente.

L’uomo non è padrone della natura e tutto ciò che avviene intorno a noi non è nel controllo dell’uomo.

Natura come realtà e come concetto aperto, come punto di partenza ma anche di arrivo, come ideale, talvolta, forse.

Quando utilizziamo questo termine è importante capire a cosa si sta riferendo chi scrive proprio perché non c’è sempre univocità nel suo utilizzo.

In che rapporto stanno le parole natura, ambiente, paesaggio? Si può rispondere e risolvere questa questione in modo definitivo?

Porre la questione significa aprire riflessioni, processi di scoperta e di ricerca.

Natura è una parola spesso accostata a un’altra, madre: “madre natura”, per porre l’accento sulla relazione che c’è tra noi umani e la natura.

Non si può contrapporre l’uomo alla natura immaginandoli su due piani distinti perché l’uno è parte dell’altra.

L’uomo è parte della natura e l’uomo è esso stesso natura poiché ne proviene e se ne sostenta e perché il suo corpo è governato da leggi antiche e misteriose.

Prima di tutto l’uomo, di Nazim Hikmet  

Non vivere su questa terra 
come un estraneo
e come un vagabondo sognatore.

Vivi in questo mondo
come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare,
ma prima di tutto credi all’uomo.

Ama le nuvole, le macchine, i libri,
ma prima di tutto ama l’uomo.
Senti la tristezza del ramo che secca,
dell’astro che si spegne,
dell’animale ferito che rantola,
ma prima di tutto senti la tristezza 
e il dolore dell’uomo.

Ti diano gioia
tutti i beni della terra:
l’ombra e la luce ti diano gioia,
le quattro stagioni ti diano gioia,
ma soprattutto, a piene mani,
ti dia gioia l’uomo!

Il clima come bene comune

Il tema dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo è al centro dell’interesse di tutti e a essere chiamato in causa è il suo irrispettoso modo di sfruttare le risorse ambientali inquinando e depauperando la casa comune.

A tal proposito sono più che pertinenti alcune tra le molte argomentazioni di Mario Josè Bergoglio sul tema del clima (tratte da Laudato sì, lettera enciclica sulla casa comune):

Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti. Esso, a livello globale, è un sistema complesso in relazione con molte condizioni essenziali per la vita umana. Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico.

Negli ultimi decenni, tale riscaldamento è stato accompagnato dal costante innalzamento del livello del mare, e inoltre è difficile non metterlo in relazione con l’aumento degli eventi metereologici estremi, a prescindere dal fatto che si possa attribuire una causa scientificamente determinabile ad ogni fenomeno particolare.

L’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano.

Vero è che ci sono altri fattori (quali il vulcanismo, le variazioni dell’orbita e dell’asse terrestre, il ciclo solare), ma numerosi studi scientifici indicano che la maggior parte del riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovuta alla grande concentrazione di gas serra (anidride carbonica, metano, ossido di azoto e altri) emessi soprattutto a causa dell’attività umana.

La loro concentrazione nell’atmosfera impedisce che il calore dei raggi solari riflessi della terra si disperda nello spazio. Ciò viene potenziato soprattutto dal modello di sviluppo basato sull’uso intensivo di combustibili fossili , che sta al centro del sistema energetico mondiale.

long exposure photography of road and cars

Ha inciso anche la pratica del cambiamento d’uso del suolo, principalmente la deforestazione per finalità agricola. A sua volta, il riscaldamento ha effetti anche sul ciclo del carbonio. Crea un circolo vizioso che aggrava ancora di più la situazione che inciderà sulla disponibilità di risorse essenziali come l’acqua potabile, l’energia e la produzione agricola delle zone più calde, e provocherà l’estinzione della biodiversità del pianeta.

Lo scioglimento dei ghiacci polari e di quelli d’alta quota minaccia la fuoriuscita ad alto rischio di gas metano, e la decomposizione della materia organica congelata potrebbe accentuare ancora di più l’emissione di anidride carbonica.

A sua volta, la perdita di foreste tropicali peggiora le cose, giacché esse aiutano a mitigare il cambiamento climatico. L’inquinamento prodotto dall’anidride carbonica aumenta l’acidità degli oceani e compromette la catena alimentare marina.

school of gray fish

Se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi.

L’innalzamento del livello del mare, ad esempio, può creare situazioni di estrema gravità se si tiene conto che un quarto della popolazione mondiale vive in riva al mare o molto vicino a esso, e la maggior parte delle megalopoli sono situate in zone costiere.

I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità.

Un po’ di plastica ogni giorno

L’organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato un rapporto sulla presenza di microplastiche nell’acqua potabile con la quale la maggior parte delle persone si disseta ignara.

Microplastic in drinking water è un allarmante rapporto dell’OMS pubblicato nello scorso mese di agosto:

Microplastics are ubiquitous in the environment and have been detected in marine water, wastewater, fresh water, food, air and drinking-water, both bottled and tap water.

Le microplastiche come è emerso in una serie di ricerche che il rapporto prende in esame, (circa 50) sono ormai diffuse ovunque, nelle acque e nell’ambiente. Fanno parte della nostra alimentazione anche attraverso i MOCA (materiali a contatto con gli alimenti).

Anche chi cerca di prendersi cura il più possibile della propria salute e di quella dei propri figli con sana alimentazione e sane abitudini di vita si ritrova poi, inevitabilmente, a ingerire quantitativi variabili di microplastiche disseminate ovunque, finanche, appunto, nell’acqua potabile.

Si legge nel rapporto che le particelle al di sopra di una certa grandezza (150 micromeri) sembrerebbero non venire assorbite dal corpo ma espulse e quelle più piccole, anche se assorbite non si sa che danni rechino a chi le ingerisce perché mancano studi, allora per adesso, possiamo stare tranquilli.

Il coordinatore dell’Oms per l’acqua ed i servizi igienico-sanitari, Bruce Gordon, afferma:

But just because we’re ingesting them doesn’t mean we have a risk to human health, the main conclusion is, I think, if you are a consumer drinking bottled water or tap water, you shouldn’t necessarily be concerned.

Insomma, stando alle parole dell’esperto scienziato: solo perché ingeriamo microplastiche, non significa che esse rappresentino un pericolo per la salute degli esseri umani. La conclusione principale è che se sei un consumatore di acqua in bottiglia o di rubinetto, non dovresti necessariamente preoccuparti.

In sostanza, mancando studi affidabili, l’OMS è cauta, sostiene che al momento non ci dobbiamo preoccupare troppo ma è meglio studiare maggiormente la questione e ridurre la diffusa produzione e dispersione di plastica nell’ambiente.

Sembra impossibile riuscire a dormire sonni tranquilli quando si sa, ormai per certo, che ogni giorni oltre ai lipidi, protidi e glucidi dobbiamo inserire anche la voce microplastiche.

We urgently need to know more about the health impact of microplastics because they are everywhere –  including in our drinking-water,” says Dr Maria Neira, Director, Department of Public Health, Environment and Social Determinants of Health, at WHO. “Based on the limited information we have, microplastics in drinking water don’t appear to pose a health risk at current levels. But we need to find out more. We also need to stop the rise in plastic pollution worldwide.

Il paradigma scientifico del nostro tempo prende in considerazione solo ciò che è dimostrato da ricerche perciò mancando studi che dimostrino in modo incontrovertibile che le microplastiche fanno male, secondo l’OMS, non dobbiamo preoccuparci.

Forse allora è il nostro paradigma scientifico a “fare acqua”.

Purtroppo, letto questo rapporto, possiamo davvero affermarlo.